Antonio Tanda

Ausonio Tanda (Sorso 1926 Roma 1998). La sua prima formazione avviene da autodidatta; ben presto però si iscrive all’Istituto d’Arte di Sassari e si trasferisce nella capitale nel 1951.  Inizialmente il suo linguaggio artistico è influenzato da Pietro Antonio Manca, di cui conosce a fondo l’opera e soprattutto da Giuseppe Biasi.  Tanda ne ammira l’uso del colore in modo quasi espressionistico.  Nell’anno 1950 è vincitore, insieme a Costantino Spada e il grande artista Mauro Manca, del premio “Città di Sassari”, nonostante Tanda al tempo fosse ancora poco conosciuto in campo artistico. Nelle prime opere degli anni quaranta si sente molto l’influenza di questi due grandi maestri nell’uso, appunto, del colore.  In seguito Tanda schiarisce la tavolozza che si fa più luminosa, meno cupa, come in alcune tele riferibili agli anni cinquanta del novecento, così come appaiono i temi marini. Tanda riprende sempre temi cari alla tradizione artistica sarda, temi che si rifanno direttamente alla terra isolana, riprendendo momenti di vita quotidiana; riproduce sulla tela il lavoro dei tonnarotti, per esempio.  La sua pittura non denuncia una particolare condizione ma punta il dito sulla universale condizione di tragicità umana, che si scontra con il destino.   Nella seconda metà degli anni Sessanta Tanda,  assume un linguaggio pittorico quasi astratto, in cui la forma umana o un surrogato di essa si nasconde dietro impronte, concrezioni, forme geometriche bidimensionali e dissolvenze.  L’opera del Museo di Atzara è una sintesi della lezione neocubista, in accordo con le tendenze dell’epoca, per cui ritroviamo una scomposizione della forma da riportarsi alla lezione di Picasso e Braque, dunque del cubismo analitico, ma allo stesso tempo, si avvicina alla geometrizzazione del linguaggio pittorico cezanniano.

 

 

 

 

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