Lino Pes (Olbia, 1940 ) espone per la prima volta nel 1960. Da questa data si susseguono le mostre personali, le collettive e la partecipazione a premi e rassegne in Sardegna, in Italia e all’estero ottenendo numerosi riconoscimenti. Negli anni ’70, all’interno del progetto Arte-Oggi del professor Armando Ginesi docente di storia dell’Arte Contemporanea presso l’università di Macerata, pubblica la cartella Panorama della Grafica Contemporanea-Quaderni della Grafica italiana a cura della professoressa Teresa Caracelli, Sintesi Grafica Oggi Vol. 1 a cura del prof. Silvio Castro e che vengono accreditate nelle sezioni di importanti musei. L’ultima partecipazione in una rassegna di rilievo internazionale è la Mostra del pastello Contemporaneo nel 2002-2003 che fruiva dell’alto patrocinio dell’Unesco e del Segretario Generale del Consiglio dell’Europa. La mostra di 236 artisti di 28 paesi veniva allestita in vari comuni della provincia di Cuneo e trasferita poi a San Pietroburgo in occasione dei 300 anni della fondazione della città. In campo figurativo Pes si sente orgoglioso erede della lezione dei grandi maestri del ‘900 sardo, ma nella ricerca quarantennale, non figurativa, portata avanti senza conflitti col fare figurativo, si sente vicino alle correnti americane degli artisti della West-Coast.
Nel 2010 il Museo Ortiz gli dedica Domos de perda e dies chi passant, una personale che rende omaggio ad Atzara. La scelta non è certo casuale, lui, infatti, già dal maggio del 1981, conobbe Atzara da ospite privilegiato essendo stato inviato al Premio nazionale di pittura patrocinato dalla Regione Sardegna, che vantò la presenza di eminenti giurati tra cui, Salvatore Naitza, Mario Ciusa Romagna e Placido Cherchi. Da allora, incuriosito, decise di recarsi ripetutamente ad Atzara, quasi di nascosto, senza farsi vedere, per dipingere con discrezione gli scorci del paese. Questa sua collezione di trenta dipinti deve pertanto considerarsi un’opera unica, ispirata ad un progetto unitario. Dopo tanti anni che l’artista l’ha tenuta tra le sue carte più preziose, facendola vedere solo a pochi esperti, ha concesso di poterla esporre, per la prima volta in assoluto, proprio nel Museo d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Atzara. La progettazione della mostra, che rappresenta una riflessione critica sul proprio presente che va oltre il semplice evento culturale, è stata ideata e curata da Progetto Cultura S.C., alla cura dei testi critici del catalogo, patrocinato dalla Fondazione Banco di Sardegna, hanno lavorato Flaminia Fanari e Paolo Sirena. Storica è la proliferazione artistica di Atzara, noti e famosi sono i pittori che vi hanno soggiornato, dai costumbristi ai rappresentanti del nostro Novecento pittorico, senza dimenticare il Maestro Corriga. Tutti i pittori che sono passati ad Atzara, hanno focalizzato l’attenzione negli aspetti pratici di una vita agricola, genuina e solare, scandita dal ritmo della religiosità rituale, descritta senza retoriche discorsive. Le opere di Pes che parlano di Atzara, ritraggono di quella realtà che lo seduce e lo affascina, dedicando il primo piano a ciò che fino ad allora ha fatto da sfondo, cioè al contesto che veste i costumbres, facendone il protagonista assoluto. In questo suo percorso concettuale e cromatico sottende il labirintico intrecciarsi di stradine e saliscendi granitici di impianto catalano, crocevia di antichi saperi e moderne culture. Pes le ha ripercorse fermando l’attimo in “ritratti” d’istantanea freschezza, ne ha interpretata l’anima. Il contesto del vissuto paesano, rimandandoci non solo agli anni dell’esecuzione pittorica, ma più indietro nel tempo, quando non esisteva l’automobile e si camminava a piedi tra le stradine e i vicoli del paese, quando l’incontro di due persone veniva accompagnato da una dissimulata sorpresa, girando l’angolo, e risuonava nel cordiale saluto tra i paesani. Pes propone Atzara velata liricamente di solitudine. Mancano le persone dal punto di vista figurativo, ma se ne percepisce la presenza grazie a continui rimandi, agli indizi disseminati nei quadri. L’artista descrive Atzara con la luce, bianca e luminosa che scolpisce i chiaroscuri nelle cortes, scava muri e selciati, mentre emergono le tinte rosse dei balconcini in ferro di foggia catalana, ancora memori delle libere composizioni dell’arabesco e che intessono su di sé il filo storico che unisce Atzara alle vicende del passato. E’ una luce calda, che risparmia il verde ombroso dei cortili e il mazzolino di fiori appena colto appeso accanto alla porta di una casa, ma non le stoppie e le piante dei vasi dimenticati alla finestra. E’ una luce di mezzogiorno che scivola sull’intonaco bianco, fa brillare le superfici ruvide di tonalità azzurre e violacee. Bagna dall’alto i tetti e i muri scrostati dal tempo, accendendo colori petrosi e terragnei. Quando il sole incontra un ostacolo, si proiettano piccole ombre, eseguite in punta di pennello, ombre che si spostano nei quadri e girano intorno agli edifici seguendo il sorriso del sole. Non si arriva al tramonto, ma suoi sono i colori dominanti.
Nell’armonica strutturazione coloristica si traduce la vibrante carica di sentimento. E’ pace. E mentre dai portoni dei magasinos emana il profumo del mosto, ricordo fra me qualche verso del Sabato del villaggio di Leopardi “Già tutta l’aria imbruna, torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre giù dà colli e dà tetti, al biancheggiar della recente luna”