Prim Fullà (San Pedro Pescador,1932 – 2015), visse la sua giovinezza e per diversi anni a Parigi, dove le sue opere furono riconosciute apprezzate nell’ambiente artistico francese. Tuttavia, all’apice della sua carriera, Fullà ritornò alle sue origini, stabilendosi a Sant Pere Pescador, una cittadina situata nella Costa Brava in Catalogna dove costruì con le sue mani la propria casa vicino alla spiaggia, in armonia con il suo pensiero che sosteneva da sempre l’esistenza di un altro modo di vivere, in fuga dal materialismo. La sua pittura, fin dagli esordi fu influenzata profondamente dall’opera di Picasso. In particolar modo, Prim Fullà è attratto dalla pittura del periodo blu (1901-04), caratterizzata da toni turchesi e blu come indica la stessa parola, dunque una pittura monocromatica, che solo in alcune eccezioni utilizza altri colori. I soggetti di questo periodo sono malinconici, tristi e disperati. L’ispirazione più propriamente cubista si ritrova invece nelle sue nature morte. Altro artista da cui attingerà gli elementi che formeranno il suo linguaggio pittorico è Modigliani. La sua produzione artistica spazia notevolmente anche nella realizzazione d’incisioni, in particolar modo preferisce le tecniche dell’acquaforte e della puntasecca, dove hanno una particolare rilevanza, gli effetti plastici che l’artista riesce a donare a ogni raffigurazione. Fullà arriva in Sardegna nei primi anni ’70 e vi si stabilisce per qualche tempo come rifugiato politico essendo in aperta contrapposizione con il governo dittatoriale di Francisco Franco. L’opera conservata al Museo di Atzara risale al 1980 e rappresenta una figura femminile con il tipico costume tradizionale di Atzara. Questo, appartiene ad’una serie di ritratti atzaresi, realizzati sempre con la tecnica della puntasecca e furono eseguiti dall’artista nel corso dei vari soggiorni ad Atzara.
Quando Prim Fullà costruì la casa-studio, una meravigliosa torre di guardia sulla spiaggia e nel Parco Naturale di Aiguamolls, lo fece pensando al suo progetto da tempo accarezzato. L’edificio infatti è composto da spazi piccoli e grandi, tutti collegati tra loro. In una delle aree, l’artista realizzò il suo laboratorio. Era il suo spazio personale di creazione, un luogo con molta forza, dove si può ancora oggi respirare la sua presenza, e che Fullà avrebbe voluto rivitalizzare ospitando eventi culturali e mostre. Infatti, questo spazio divenne la base dell’Associazione “Arts Empori”, una comunità di artisti e pensatori, composta da persone libere come lui che “volevano costruire una nuova civiltà”. Tuttavia, dopo la sua morte avvenuta nel 2015, questo spazio rimase inutilizzato. Successivamente, sua figlia Sança, insieme ai membri dell’associazione “Fabricants de Futur”, ha diretto il recupero della casa-laboratorio chiamandolo Terra Negra, per rendere possibili iniziative sociali e artistiche e utilizzare lo spazio per progetti di cooperazione. Come spiega sua figlia Sança, l’idea è che ciò che resta dell’opera di Prim Fullà rimanga alla vista del grande pubblico. L’arte sarà infatti uno degli impulsi vitali di “Terra Negra”. Questo pensiero in nuce, è evidente nel primo degli spazi riadattati, un piccolo chiostro che, a suo tempo, doveva anche fungere da spazio espositivo. Terra Negra promuoverà anche residenze, cosa che Prim Fullà aveva già fatto all’epoca e per molto tempo. “Molti artisti e intellettuali di tutta Europa hanno soggiornato qui, sono venuti a lavorare o in pensione”, ricorda la figlia di Fullà. Ora le attività continueranno fortemente con l’aiuto di una giovane generazione di attivisti e persone che cercano di promuovere il cambiamento sociale e di pensiero.