Giuseppe Dessì (Cagliari, 1909 – Roma, 1977) trascorse a Villacidro, cittadina alle pendici del Monte Linas, una difficile, inquieta adolescenza. La scoperta casuale di una biblioteca murata che custodiva, assieme a tanti altri libri fu l’occasione per disordinate letture filosofiche e letterarie che lo portarono sull’orlo della follia.
L’intervento del padre (ufficiale, e eroe della prima guerra mondiale), che mitigò il ‘determinismo’ filosofico con la poesia, e un tardivo corso regolare di studi, portarono nel 1931 quello che era stato un tempo uno studente ribelle in una delle città universitarie più prestigiose d’Italia, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa, laureandosi nel 1936.
Salutato da Gianfranco Contini come il “Proust sardo” (il saggio-recensione a San Silvano apparve nell’aprile del 1939 su “Letteratura” con il titolo programmatico di Inaugurazione di uno scrittore). Del 1949 una fiaba-libro per ragazzi e adulti, Storia del principe Lui; del 1955, in pieno clima di neorealismo, I passeri, un romanzo che continua ad obbedire alle leggi più tipicamente dessiane della relatività della conoscenza sullo sfondo di grandi avvenimenti storici. Del 1961 Il disertore, romanzo breve che si muove su piani diversi di sentimenti, di spazi, di tempo, e del 1972 l’ultimo libro compiuto, Paese d’ombre, tentativo di offrire su un impianto di tipo tolstoiano la storia di un personaggio, di un paese, sempre approssimata altrove per sparsi frammenti. In questo contesto analizzeremo la figura di Dessì come artista dedito con discreti risultati alla pittura. A Sassari frequenta Eugenio Tavolara di cui è amico fraterno e con altri artisti frequenta l’ambiente artistico che andava prefigurandosi in quegli anni. Si cimenta particolarmente con ritratti familiari e paesaggi. Il dipinto presente nella collezione del Museo Ortiz dal titolo “Raccoglitrici di olive”, è un olio su cartone di piccole dimensioni, lega come i suoi racconti, in modo indissolubile l’artista al mondo e ai luoghi in cui è vissuto da bambino con temi ascrivibili al realismo. La pittura di Giuseppe Dessì non raggiunge i medesimi risultati ottenuti in ambito letterario, ma la sua produzione artistica racconta la sensibilità a tutto tondo, di un uomo che sente un’urgenza anche in ambito pittorico figurativo oltre che narrativo.
Quasi sempre lontano dalla Sardegna, pur sempre presente alla sua tensione narrativa, sfondo costante di romanzi e racconti drammatici (al teatro di Dessì, rappresentato spesso con notevole successo di pubblico e di critica, vanno ascritti testi di preciso impegno politico: La giustizia, Qui non c’è guerra, Eleonora d’Arborea; mentre La trincea inaugurò nel 1962 la seconda rete televisiva), Dessì fu costretto a spostamenti continui (– dove avrebbe fatto parte del gruppo dei cinque amici di cui parla Bassani in Concerto -, Sassari, Ravenna, Teramo, Grosseto da una complicata carriera di Provveditore agli Studi, che si concluse a Roma, dove si trasferì negli anni 50, distaccato all’Accademia dei Lincei.
Ma con la Sardegna, dopo la Pisa ella giovinezza, altre città hanno avuto un’incidenza determinante nella privata biografia e nell’opera: la Ferrara degli anni Quaranta e Roma, dove visse per oltre un ventennio fino alla morte.
Premiati in numerosi concorsi, vince il Premio Strega 1972 con Paese d’ombre, tradotto subito in molte lingue, i libri di Dessì non sono ancora conosciuti e diffusi come meriterebbero, sia in Italia che all’estero; non è stata data l’importanza che meritava al romanzo incompiuto, La scelta, pubblicato postumo nel 1978 da Mondadori, né alle raccolte degli scritti dispersi sulla Sardegna, che si possono sicuramente includere tra le sue pagine più belle e che meritano di essere studiate, come il resto della sua opera, quale produzione di un “classico” del Novecento.